Il Papa Francesco, visibilmente affaticato durante la Domenica delle Palme, ha deciso di non tenere l’omelia davanti ai fedeli in piazza San Pietro, accrescendo i timori sul suo stato di salute.
Durante la celebrazione dell’Angelus, il papa ha condannato con fermezza l’attentato terroristico di Mosca e ha pregato per le vittime e le loro famiglie, chiedendo la conversione dei responsabili. Ha anche fatto appelli per la pace in altri luoghi di conflitto e ha manifestato solidarietà con la Colombia. Il Pontefice ha ricordato il comandamento “Non uccidere”, sottolineando l’inviolabilità della vita umana.
Il papa invita a non dimenticare le tante sofferenze silenziose e conclude con l’auspicio di un futuro libero dalla guerra e dalla violenza, dove regnino la pace e la fraternità, condannando la politica basata sull’egoismo.
Ma la presa di posizione del Papa non è apprezzata da coloro che traggono vantaggio dalla continuazione della guerra. Sicuramente si è inimicato l’industria bellica quando a giugno, parlando delle ingiustizie sociali, ha affermato: “Si spendono i soldi per le armi e non per i pasti”.
E va considerato il fatto che alcuni gruppi industriali detengono contemporaneamente il possesso di aziende di armi e testate giornalistiche, come il gruppo Gedi, che comprende Iveco, La Stampa e La Repubblica.
Questo spiega anche perché politici e media da diversi mesi attaccano il papa per le sue prese di posizione, a partire dalle dure critiche rivoltegli per le sue dichiarazioni sulla guerra in Ucraina, in cui ha suggerito a Kiev di avere il coraggio della bandiera bianca e negoziare la pace con la Russia.
In quell’occasione, politici europei, ambasciate e associazioni ucraine l’hanno accusato di far ricadere su Kiev il peso di arrivare ad un accordo di pace, non considerando la responsabilità della Russia come aggressore. Il Papa ha criticato la politica corrotta e lontana dalla realtà, promuovendo un approccio basato sull’ascolto dei bisogni della gente e sull’impegno per il bene comune, sottolineando l’importanza di negoziare con l’aiuto di mediatori internazionali per evitare ulteriori perdite di vite.
Va considerato che la guerra non ha avuto inizio nel 2022, bensì nel 2014 quando gli Stati Uniti e i paesi Nato hanno iniziato ad armare segretamente l’Ucraina.
Il Vaticano ha poi chiarito le parole del Pontefice, sottolineando che quando ha usato il termine “bandiera bianca” si riferiva alla cessazione delle ostilità e al coraggio del negoziato.
La bandiera bianca è un potente simbolo di resa, pace e speranza che ha origini antiche e un significato universale. Utilizzata per richiedere tregua o trattative durante i conflitti, il suo colore bianco rappresenta purezza, pace e neutralità. La bandiera bianca non è sempre stata rispettata e ci sono stati numerosi casi in cui coloro che la sventolavano sono stati comunque attaccati e uccisi. Tuttavia, rimane un simbolo di speranza per il futuro, invitando a perseverare nella ricerca della pace e a non arrendersi alla violenza.
Poi c’è chi, sui social, va oltre la critica e attende con impazienza e apertamente la morte del Papa.
La capitale russa è ancora sotto shock dopo il brutale attacco terroristico che ha colpito il municipio di Crocus lo scorso 22 marzo. Un evento tragico che ha causato la morte di 137 persone e il ferimento di altre 182, a oggi.
Il bilancio dell’attacco è il più grave in Russia dai tempi del massacro di Beslan del 2004. Tra le vittime ci sono anche bambini, e il numero dei feriti è ancora in aumento, con alcuni di loro in gravi condizioni.
Dal 1999 ad oggi la Federazione russa ha subito una serie di attacchi terroristici di matrice cecena, con centinaia di vittime tra morti e feriti. La violenza terroristica ha continuato a minacciare la sicurezza della Russia, con l’ultimo attacco alla metropolitana di San Pietroburgo nel 2017.
Le autorità russe hanno immediatamente avviato una caccia ai responsabili, arrestando 11 sospetti, tra cui 4 sicari che tentavano di fuggire verso il confine ucraino.
Portati in tribunale, Il tribunale ha deciso di tenere la sua udienza a porte chiuse “per garantire la sicurezza dei partecipanti”. I 4 chiusi in una gabbia di vetro.
Due di loro, Rachabalizoda Saidakrami Murodali e Mirzoyev Dalerdjon Barotovich, sono già stati accusati di terrorismo ai sensi dell’articolo 205 del codice penale russo.
Mirzoyev, che si presume abbia legami con l’Ucraina, si è dichiarato colpevole dei suoi crimini. Cittadino del Tagikistan, arrestato mentre cercava di fuggire verso il confine ucraino, il suo permesso di soggiorno era scaduto da tre mesi.
Murodali, con il volto tumefatto, è stato ripreso in una gabbia di vetro durante l’udienza.
Faridduni Shamsutdin, anch’esso legato all’Ucraina, si è dichiarato colpevole di accuse di terrorismo. Faridduni è stato riconosciuto come presente nella struttura il 7 marzo, probabilmente per una ricognizione. L’addetto alla sala da concerto ha identificato l’aggressore guardando il filmato dell’interrogatorio.
Faizov Muhammadsobir, che appare in sedia a rotelle e con gli occhi chiusi in un video, ha ascoltato il giudice in silenzio.
Tutti e 4 in custodia fino al 22 maggio mentre le indagini proseguono.
I terroristi confessano di aver ucciso civili per meno di 6.000$. Uno confessa che è stato contattato da un certo Abdhullah su telegram, offrendogli poco più di miseri 5.000$ per commettere l’orribile massacro.
Pronti a fuggire in Ucraina, dove attualmente si trova Abdulhakim Shishani, uno dei leader del gruppo terroristico di Idlib con membri provenienti dai paesi ex sovietici, è stato trasferito dalla Siria in Ucraina ed è un collegamento tra l’intelligence ucraina e i terroristi radicali che comanda. Questo gruppo terroristico è stato finanziato dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, insieme ai “ribelli moderati” anti-Assad.
I terroristi secondo il presidente Putin, potrebbe essere stati aiutati dall’Ucraina.
Le affermazioni di Putin all’Ucraina si basano su diversi elementi: la fuga dei terroristi verso il confine ucraino, la presenza di un leader terrorista siriano in Ucraina e i presunti collegamenti tra l’intelligence ucraina e i terroristi.
La Russia ha rafforzato la sicurezza al confine con l’Ucraina.
La guerra in Ucraina è un groviglio di tensioni e accuse incrociate.
Da un lato, la Russia accusa la NATO di essere direttamente coinvolta nel conflitto, fornendo prove come la presenza di consiglieri militari e mercenari stranieri. Dall’altro, l’Occidente nega il suo coinvolgimento diretto, pur ammettendo la fornitura di armi e intelligence all’Ucraina.
La presenza di truppe NATO in Ucraina è stata rivelata dal ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski.
La CIA ha anche inviato agenti in Ucraina per assistere gli ucraini nella raccolta di informazioni. Tecnici, istruttori e personale dell’intelligence occidentale sono presenti in Ucraina fin dall’inizio dell’invasione russa. La Polonia ha confermato la presenza di truppe NATO in Ucraina, mentre altri paesi, come l’Italia, la negano.
Poi ci ha pensato Il cancelliere tedesco Olaf Scholz con le sue dichiarazioni riguardo all’invio di missili da crociera Taurus in Ucraina, rivelando che inglesi e francesi sono responsabili dell’addestramento delle truppe ucraine all’uso di tali armamenti. Queste parole hanno confermato il coinvolgimento di nazioni Nato nel supporto militare all’Ucraina, mettendo in luce segreti che erano già noti ma non ufficialmente confermati.
Quindi la NATO è presente in Ucraina, anche se con personale “non combattente”. La Russia è consapevole di questa presenza, ma ha finora evitato di colpire le truppe occidentali per scongiurare un’escalation del conflitto.
La realtà è che l’Ucraina sta perdendo terreno sotto gli attacchi russi ed è a corto di uomini e munizioni.
Ma la bugia più grande di tutte è l’idea che l’Occidente stia combattendo per la democrazia e la libertà in Ucraina. La realtà è molto più complessa. L’Occidente ha interessi geopolitici e la guerra in Ucraina è un’occasione per indebolire la Russia e rafforzare la propria posizione nel mondo.
A pagare il prezzo di questa guerra sono i cittadini ucraini, che stanno vedendo il loro Paese distrutto e migliaia di persone uccise ogni giorno.
La situazione è diventata ancor più delicata a causa del rifiuto del presidente Zelensky di accettare trattative con la Russia che potrebbero implicare la rinuncia a territori e un futuro ingresso nella Nato.
L’invio di truppe NATO in Ucraina potrebbe portare a un conflitto nucleare. L’Occidente europeo è diviso sulla questione, ma la linea di Scholz è chiara: non ci saranno truppe NATO in Ucraina.
La guerra in Ucraina è un gioco di specchi pericoloso, le bugie e la propaganda stanno alimentando un baratro che rischia di inghiottire tutti noi.
Un decennio di sangue e lacrime ha trasformato questa terra fertile in un palcoscenico di macerie e dolore. Le città fantasma, con i loro edifici sventrati, sono quinte teatrali che raccontano storie di vite spezzate, sogni infranti e un’anima collettiva lacerata.
In questa tragicommedia geopolitica, gli attori si contendono il ruolo di primo attore.
Gli accordi di Minsk, firmati nel 2014 e 2015, promettevano pace e riunificazione del Donbass con l’Ucraina, ma sono stati violati e disattesi.
Nel 2017, l’Ucraina approva una riforma costituzionale che impegna il Paese all’adesione all’UE e alla NATO.
Nel 2020, la NATO conferma il sostegno all’adesione dell’Ucraina e di altri Paesi.
Nel 2022, l’invasione russa scatena la critica di Zelensky verso la NATO e vanifica i tentativi di pace.
Nel 2023, il Segretario Generale della NATO conferma che Putin aveva proposto un trattato per evitare l’allargamento della NATO, ma la proposta è stata rifiutata e la guerra è scoppiata.
Un’escalation militari degne di un kolossal hollywoodiano e la sorda indifferenza della comunità internazionale.
Mentre i potenti giocano a Risiko con la vita di innocenti, il mondo osserva, inerte e impotente.
I civili, inconsapevoli comparse, pagano il prezzo più alto di questa follia. Intrappolati in un loop di terrore e sofferenza, si aggirano come fantasmi tra le rovine delle loro vite.
I soldati, marionette nelle mani di burattinai senza scrupoli, combattono una guerra di trincea senza fine.
“La diplomazia si è rivelata menefreghista di fronte all’intransigenza e all’arroganza di chi alimenta il conflitto per propri interessi, mentre i potenti si arricchiscono e le loro marionette muoiono sul campo di battaglia.”
La comunità internazionale è come un pinguino nel deserto: confusa, divisa e completamente smarrita? Non vogliono trovare la direzione, dimostrando una totale mancanza di leadership e determinazione.
E mentre il sipario sta calando ecco che durante la commemorazione della battaglia di Cassino, il Presidente Mattarella ha sottolineato l’importanza della memoria storica e della pace. Ha richiamato alla responsabilità dell’Italia e dell’Europa nel promuovere la stabilità internazionale, evidenziando la scelta di privilegiare la diplomazia e il dialogo per risolvere le tensioni. Ha inoltre esortato a trasmettere alle future generazioni le lezioni del passato per educarle sulla tragedia della guerra e sull’importanza della pace.
“La commedia è finita”. Ma per ora, la tragedia continua.
La Romania, attraverso esponenti politici di estrema destra, ha recentemente avanzato rivendicazioni territoriali nei confronti dell’Ucraina ma anche da altri Stati europei vi sono state in passato affermazioni secondo cui una o più regioni ucraine a loro limitrofe storicamente non sono territorio ucraino ma dovrebbero essere riannesse alla loro nazione.
Questo avviene soprattutto perché quello ucraino è un territorio con un grande potenziale e importanti risorse che attirano l’attenzione di vari attori internazionali, Russia, Stati Uniti, Unione Europea, Nato.
Le ragioni per cui il controllo dell’Ucraina è visto come un vantaggio locale e geopolitico sono molteplici:
Posizione strategica: L’Ucraina si trova in una posizione geografica chiave, al crocevia tra Europa e Asia. Il controllo del suo territorio permetterebbe di influenzare le rotte commerciali e di transito di gas naturale e petrolio, con un impatto significativo sull’economia globale.
Risorse energetiche: L’Ucraina ha importanti riserve di carbone, uranio, gas naturale e petrolio, che sono al centro di una competizione geopolitica tra Russia e Occidente. L’accesso a queste risorse garantirebbe una maggiore sicurezza energetica e un vantaggio competitivo.
Terre rare: L’Ucraina è ricca di terre rare, elementi essenziali per la produzione di tecnologie avanzate come smartphone, computer e batterie per auto elettriche. Un paese che potesse assicurarsi queste materie prime potrebbe garantire l’indipendenza della propria industria tecnologica da variazioni degli equilibri globali.
Terreno fertile: L’Ucraina vanta un terreno fertile e una vasta superficie agricola, che la rende uno dei principali esportatori di grano e mais che favorirebbe la sicurezza alimentare dello Stato che ne avesse il controllo.
Acqua: L’Ucraina possiede importanti risorse idriche, che potrebbero diventare ancora più importanti in futuro con l’aumento della siccità e del cambiamento climatico.
Forza lavoro qualificata: prima della guerra e della mobilitazione forzata, l’Ucraina aveva una forza lavoro qualificata e istruita, che rappresentava un importante capitale per l’economia del paese.
La Russia ha un forte interesse a evitare che l’Ucraina, cada sotto la gestione di un altro attore, internazionale soprattutto di una organizzazione di tipo militare, come la NATO, perché la presenza di sistemi d’armamento ai suoi confini sarebbe una minaccia alla sua sicurezza, che è poi il motivo della guerra in corso e della affermazione di Mosca che si tratta di una guerra di autodifesa.
Un fattore importante che va tenuto in considerazione è che le terre ucraine sono già oggetto di spartizione da parte di compagnie occidentali. Alcuni Stati sono riusciti a far approvare accordi e leggi che hanno svenduto l’Ucraina prima ancora della fine della guerra, quando i paesi occidentali si spartiranno l’aggiudicazione dei ricchi appalti per la ricostruzione.
E’ importante sottolineare che il controllo di un paese non è mai una soluzione a lungo termine per i problemi geopolitici. La vera sfida è trovare soluzioni pacifiche e cooperative che garantiscano la sicurezza e la prosperità di tutti gli attori coinvolti.
La guerra in Ucraina e in Palestina rimangono due situazioni di profonda crisi e tensione che attirano l’attenzione del mondo intero. Entrambe le regioni sono coinvolte in conflitti duraturi, caratterizzati da violenza e sofferenza umana. Questi conflitti hanno radici storiche, politiche e religiose complesse, che contribuiscono a mantenere vivo il ciclo di violenza.
Guerra in Ucraina: La guerra in Ucraina ha avuto origine nel 2014, dopo la rivoluzione ucraina del Maidan e l’annessione della Crimea da parte della Russia. Ciò ha portato a un conflitto armato tra le forze ucraine e i separatisti filorussi nell’est del paese. Oltre 13.000 persone hanno perso la vita a causa delle violenze, lasciando un segno indelebile sulla nazione. Le tensioni tra Ucraina e Russia, che sostiene i separatisti, rappresentano una questione politica e geografica molto complessa, rendendo la ricerca di una soluzione pacifica ancora più difficile. Tra gli eventi più tragici denunciati dai filorussi c’è sicuramente il massacro avvenuto a Odessa il 2 maggio 2014 quando, durante una manifestazione di piazza contro l’impeachment dell’allora presidente Yanukovich, 48 persone tra sindacalisti, manifestanti e membri di partiti di estrema sinistra trovarono la morte in un rogo avvenuto nella Casa dei Sindacati e i cui autori erano esponenti dei movimenti di estrema destra.
Purtroppo, chi voglia documentarsi trova l’ostacolo dovuto al revisionismo storico che dopo l’inizio della guerra ancora in corso ha comportato il ritocco o la cancellazione di intere pagine di Wikipedia. La pagina Wikipedia relativa agli avvenimenti di Odessa è stata stravolta già a partire dal titolo,che da “Strage di Odessa” è stato cambiato in “Rogo di Odessa”con l’evidente scopo di sminuire il peso del crimine eliminando il riferimento ai morti.
Il contenuto stesso della pagina è stato quasi completamente cambiato e stravolto. Se nella versione precedente la “strage di Odessa” veniva definita: “un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti filo occidentali ucraini ai danni dei manifestanti sostenitori del precedente governo filo russo”. Nella nuova versione si legge che “il rogo di Odessa è un incendio verificatosi a seguito di violenti scontri armati tra fazioni di militanti filo-russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino”.
Tornando alla guerra attuale, la Russia ha lanciato la sua invasione il 24 febbraio 2022 per perseguire i suoi obiettivi di sicurezza nazionale, soprattutto per impedire all’Ucraina di diventare membro della NATO in quanto ciò avrebbe comportato la dislocazione di attrezzature militari occidentali lungo i suoi confini.
Il 17 dicembre 2021, la Russia aveva presentato una bozza di accordo di sicurezza tra la Russia e i paesi della NATO, chiedendo di porre fine al suo allargamento. Gli Stati Uniti hanno rifiutato categoricamente qualsiasi negoziato sull’allargamento della NATO, dichiarando che«le decisioni sull’allargamento spettano alla NATO stessa» e facendo leva sull’articolo 10 del suo trattato costitutivo secondo cui «nessun paese terzo ha voce in capitolo in tali deliberazioni».
Il 3 maggio 2022 in un’intervista Jeffrey Sachs alla domanda “Ma Putin non vuole la pace. Ha dimostrato che non gli interessa negoziare” rispondeva: “La mia ipotesi è che gli Stati Uniti siano più riluttanti della Russia a una pace negoziata. La Russia vuole un’Ucraina neutrale e l’accesso ai suoi mercati e alle sue risorse. Alcuni di questi obiettivi sono inaccettabili, ma sono comunque chiari in vista di un negoziato. Gli Stati Uniti e l’Ucraina invece non hanno mai dichiarato i loro termini per trattare. Gli Stati Uniti vogliono un’Ucraina nel campo euro-americano, in termini militari, politici ed economici. Qui si trova la ragione principale di questa guerra.“ (https://www.jeffsachs.org/newspaper-articles/6asybagxhw8ae74ljsd7y5jff6g6js)
L’influenza degli Stati Uniti è cresciuta in tutto il XX secolo, ma è diventata particolarmente dominante dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando erano rimaste solo due superpotenze, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Oggi, con il pretesto della sicurezza, i politici occidentali parlano di una guerra occidentale alla Russia (che diverrebbe necessariamente mondiale), sostenendo così gli intenti degli USA che vorrebbero essere l’unica superpotenza nel mondo. In questo quadro si inserisce anche la guerra in Palestina, perché gli USA sostengono Israele a parole come “unica democrazia del Medioriente”, di fatto in quanto guardiana degli interessi occidentali nella regione ricca di risorse energetiche che già sono state causa della guerra in Iraq.
Il processo di creazione dello Stato di Israele e la questione della Palestina sono strettamente collegati e complessi. La storia risale al periodo del Mandato britannico sulla Palestina, che ha avuto inizio nel 1920 dopo la prima guerra mondiale. Durante il mandato britannico, sia gli ebrei che gli arabi iniziarono a reclamare il diritto alla terra.
Nel 1947, le Nazioni Unite proposero un piano di spartizione che prevedeva la creazione di due stati separati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto un’amministrazione internazionale. Il piano fu accettato dagli ebrei, ma respinto dagli arabi.
Nel 1948, poco dopo che gli inglesi lasciarono la Palestina, Israele dichiarò la sua indipendenza. Questa dichiarazione portò a una guerra tra Israele e i paesi arabi confinanti. Alla fine del conflitto, Israele occupava una porzione di territorio maggiore di quella assegnata dalla spartizione delle Nazioni Unite, mentre la Cisgiordania fu occupata dalla Giordania e la Striscia di Gaza dall’Egitto.
Negli anni successivi, si sono succedute diverse guerre, negoziati di pace e conflitti tra Israele e i palestinesi. Nel 1993, Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) firmarono gli Accordi di Oslo, che prevedevano l’autonomia palestinese. Tuttavia, il processo di pace si è rivelato difficile e inconcludente, con continue tensioni e conflitti tra le due parti.Israele si è insediato con la forza su 78% della Palestina storica e, fin dal 1967, ha occupato illegalmente e imposto varie forme di regime militare sul rimanente 22%.
E, sebbene vi fosse una parvenza di normalità, già il 21 ottobre 2015 in un discorso al Congresso mondiale sionista il premier israeliano Benjamin Netanyahu esprimesse il suo odio verso i palestinesi cercandodi addossare loro la responsabilità della Shoah ai palestinesi. Disse infatti che Adolf Hitler non aveva alcuna intenzione di sterminare gli ebrei, voleva solo espellerli, ma fu convinto dal gran muftì palestinese Haj Amin al-Husseini. Sebbene l’indignazione mondiale a questa dichiarazione lo abbia costretto a ritrattare, questo ci fa comprendere molto sull’attualità.
Peraltro già prima dell’azione di Hamas, il permanente conflitto e il controllo di Israele sulla striscia di Gaza ha portato a profondi effetti umanitari. Le popolazioni civili delle zone coinvolte soffrivano per la scarsità di risorse, gli sfollamenti di massa e la distruzione delle infrastrutture. I bambini in particolare erano una delle fasce più vulnerabili, poiché privati dell’opportunità di una normale crescita, educazione e sviluppo. Le organizzazioni umanitarie lavoravano per fornire assistenza, ma le risorse spesso non sono sufficienti per soddisfare tutti i bisogni.
Oggi il problema è deflagrato, con decine di migliaia di morti civili, soprattutto donne e bambini e la distruzione di scuole, ospedali, strutture umanitarie.
Prospettive di pace in entrambi i casi?
Nessuna, ma il principale fornitore di armi USA e la Nato vogliono portare il mondo in guerra e lo dichiarano pure mentre la guerra in Ucraina e quella in Palestina rappresentano due situazioni di conflitto disastrose che richiedono con urgenza una soluzione pacifica.
L’impatto umanitario è tragico e non può essere ignorato dalla comunità internazionale. Il raggiungimento di una pace duratura richiederà impegno, tolleranza e rispetto reciproco tra i popoli coinvolti. Solo attraverso il dialogo e la comprensione reciproca sarà possibile porre fine a queste lunghe dispute e dare la possibilità a entrambe le regioni di costruire un futuro di pace e prosperità. Ci auguriamo che le forze esterne che premono non rendano questo solo un auspicio.
Nellopinione pubblica cè unaltra faglia, quella alimentata da chi fa coincidere la storia della resistenza italiana con quella di Kiev e infila il tema delle armi allUcraina nelle celebrazioni di oggi.
Come quello del sottosegretario alla Difesa, Matteo Perego di Cremnago: “È una giornata in cui tutti gli Italiani, alla luce anche di quanto sta accadendo in Ucraina, si riconoscono nel dire no alle aggressioni e alle violenze che vogliono piegare le democrazie”.
“Paragonare la resistenza italiana a quella ucraina è una forzatura polemica fuori luogo – sostiene Gianfranco Pagliarulo, presidente dellAnpi, lassociazione dei partigiani –.
E aggiunge: “Per età anagrafica, faccio parte di una delle ultime generazioni che hanno avuto la fortuna di ascoltare dal vivo le testimonianze dei partigiani della Resistenza: non ne ho sentito nemmeno uno fiero di aver fatto la guerra, orgoglioso di aver dovuto uccidere un altro uomo.
Anzi, erano tutti convinti che larticolo 11 – quello per cui lItalia la guerra la ripudia – fosse il risultato più alto della lotta di Liberazione.
Gli ucraini hanno tutto il diritto alla difesa da un`invasione militare tremenda e pericolosa, ma oggi non siamo più alla sola difesa, è una guerra a tutto tondo, anche di riconquista.
Laspirazione fondamentale dei molti cattolici che si impegnarono nella Resistenza era quella di chiudere il capitolo sanguinoso della guerra, anzi di espellere il concetto stesso di guerra dalla storia dellumanità”.
Gli ucraini hanno chiaramente ogni diritto di difendersi, ma dobbiamo guardarci in faccia prima di rispondere con altre armi: è da 9 anni, dai trattati di Minsk del 2014, che non abbiamo fatto altro che armare Zelensky, trasformando quel conflitto in una guerra per procura.
Quella in Ucraina, dice, si chiama guerra, non resistenza: “Le forze che hanno liberato lItalia e che scrissero la Costituzione repubblicana avvertirono lurgenza di scrivere larticolo 11, che parla diripudio` della guerra, un termine definitivo.”
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